Milo Infante

blog personale

Affari di famiglia

Turismo divorzile, quando gli italiani (per divorziare) sono costretti ad andare all’estero

Nel giugno del 2010 l’AMI diramò un comunicato stampa “storico” che scatenò le curiosità di tutte le redazioni dei giornali italiani e addirittura stranieri, tra cui il New York Times. Grazie alla nostra Associazione una notizia di fondamentale importanza veniva allo scoperto: era iniziato da qualche tempo il turismo divorzile di molte coppie nostrane. Dal 2004 al 2010 circa 8000 coppie avevano deciso di espatriare per esercitare il diritto (doloroso ma essenziale) di divorziare in tempi rapidi e con costi ragionevoli. All’inizio i non addetti ai lavori pensarono ad un fenomeno illecito e truffaldino. Poi si capì, grazie all’intervento di esperti in materia, che divorziare all’estero è assolutamente possibile e del tutto legale. Il regolamento CE 44/2001 – infatti – attribuisce validità ed efficacia nell’Unione Europea alle sentenze civili emesse da un giudice di uno stato membro. Ciò vale anche in materia familiare, non essendo contemplate norme di segno contrario. Già nel 2003 si erano registrati i primi divorzi di Italiani all’estero, poi qualche studio legale francese, piuttosto che spagnolo o inglese, fiutarono il “grande affare” e cercarono, anche attraverso internet e collegamenti con l’Italia, di diffondere la notizia che per gli Italiani era possibile ottenere il divorzio veloce all’estero seguendo le procedure straniere, molto meno complicate e costose delle nostre.

divorzio

Come si fa a divorziare all’estero? Innanzitutto occorre che la coppia abbia ottenuto la residenza nel paese straniero da almeno sei mesi. E così molte coppie di Italiani (nel pieno accordo di farla finita con il loro matrimonio) si recano a Parigi o a Londra e, dopo aver locato un monolocale, chiedono e ottengono subito la residenza, pur magari facendo ritorno in Italia. Decorsi i sei mesi, le coppie conferiscono incarico ad un legale straniero e, in pochi giorni o al massimo tre mesi, ottengono l’agognato stato libero. A quel punto, una volta tradotta in lingua italiana la sentenza straniera, basta depositare il provvedimento presso l’anagrafe dello stato civile in Italia per dare efficacia anche nel nostro Paese al divorzio straniero e il gioco è fatto.

Si tratta di un gioco da ragazzi. Ma anche un vero schiaffo per l’Italia da sempre “culla del diritto”. È stato così che accanto al “turismo procreativo” si sia aggiunto il “turismo divorzile”, una sorta di triste transumanza quotidiana di coppie italiane, nata dall’esigenza di esercitare propri diritti che in Italia invece sono vietati o fortemente compressi.

Le ragioni della velocità con la quale quasi tutti i paesi dell’Unione Europea garantiscono ai loro cittadini il divorzio lampo è presto spiegata. All’infuori dell’Italia, Malta, Polonia ed Irlanda del Nord (paesi con grande influenza cattolica), negli altri paesi la separazione è stata abrogata o resa facoltativa.

Tale scelta ha deflazionato il carico di lavoro dei tribunali di questi paesi, ha ridotto i tempi e ha compresso fortemente i costi e la rabbia della gente.

Il nostro Paese fino ad oggi ha fatto orecchie da mercante respingendo categoricamente l’idea di sopprimere la fase della separazione. Eppure è statisticamente dimostrato che il 98% delle persone che chiedono la separazione non cambierà idea. Le conseguenze di tale scelta sono sotto gli occhi di tutti.

In Italia per ottenere lo stato libero occorre affrontare due distinti processi (separazione e divorzio) e aspettare almeno quattro anni, se va tutto bene, per sciogliere il matrimonio o  farne cessare gli effetti civili.

Se malauguratamente le procedure sono giudiziali e hanno sbocchi in secondo grado e/o in Cassazione occorre attendere anche dodici anni per divorziare.

Questa situazione non è da Paese civile.

Da anni la lega italiana per il divorzio breve si batte per ridurre i tempi del divorzio. In Parlamento si sono discussi vari disegni di legge sull’argomento. Si ipotizza  di portare a due gli anni di separazione e ad uno nel caso in cui la coppia non abbia messo al mondo figli.

Tale riforma si è impantanata per le forti resistenze di gran parte della politica.

Il perché di tale atteggiamento è facilmente immaginabile.

In ogni caso questi disegni di legge sono il classico “compromesso all’italiana” perché non risolverebbero un problema storico. Cioè impedire al nostro Stato di intervenire in modo paternalistico nelle vicende private degli Italiani e imporre loro un periodo di riflessione prima di chiedere il divorzio. Nulla di più assurdo e anacronistico.

A questo punto, anziché parlare di mero divorzio breve (rectius separazione breve) andrebbe abrogata la fase della separazione e non semplicemente “accorciata”. I principi infatti non sono certo una questione di quantità.

E così mentre in Italia si fanno tante inutili discussioni gli Italiani scappano all’estero a divorziare.

Negli ultimi anni sono stati così inventati pacchetti “low cost” in Romania dove alcune agenzie offrono la possibilità ai coniugi italiani di divorziare alla svelta con costi complessivi del tutto  appetibili. Costo dell’operazione 3.500,00 euro che comprendono le spese di viaggio, alloggio, parcella dell’avvocato, spese pratica, per la residenza e quelle di traduzione apostillata della sentenza.

Per chi non gradisce la Romania c’è sempre la strada del “divorce hotel” in Olanda, hotel di lusso che offre il pacchetto week end: 2.500,00 euro comprensivi di soggiorno e divorzio con l’assistenza di avvocati matrimonialisti e psicologi. Un vero smacco per l’Italia.